Se Michelangelo fosse Mental Coach

Written by on 31/07/2025

Mi sono rivolta al grande Michelangelo e gli ho chiesto: “Maestro se tu fossi nato nella mia epoca e ti trovassi a fare il Mental Coach, come avresti sviluppato questa professione? Come ti saresti distinto?”

“Ah, il ‘Mental Coach’,” direbbe Michelangelo, con un sorriso appena accennato, “un’arte nuova, ma con radici antiche quanto la pietra che ho sempre amato. Se fossi nato in questa vostra epoca frenetica, e mi trovassi a ‘scolpire’ le menti anziché il marmo, la mia professione sarebbe plasmata dalla stessa filosofia che ha guidato la mia mano per tutta la vita.”

Maestro come avresti sviluppato questa professione?

“Innanzitutto, non parlerei di ‘problemi’ o ‘debolezze’, ma di ‘blocco nella pietra’. Ogni uomo, ogni donna, ha dentro di sé un capolavoro in attesa di essere rivelato. Il mio compito non sarebbe quello di aggiungere qualcosa, ma di togliere. Togliere le paure, le incertezze, le false convinzioni che velano la vera forma, la vera forza interiore.”

“Il mio ‘studio’ non sarebbe un luogo di chiacchiere leggere, ma una fucina di disciplina e fatica. Non crederei nelle soluzioni rapide, nelle ‘diete’ dell’anima che promettono miracoli senza sudore. Insegnerei la costanza, la perseveranza, la ripetizione ostinata del gesto, sia esso un pensiero o un’azione, fino a che non diventi maestria. Come un blocco di marmo, la mente va lavorata con colpi precisi e instancabili.”

“Sarei un maestro che esige. Esigerei la verità, anche quella scomoda. Esigerei l’impegno totale, perché un’opera d’arte, sia essa di pietra o di spirito, non si crea con la mediocrità. Insegnerei a guardare in profondità, a non temere l’oscurità delle proprie caverne interiori, perché è lì che spesso si nascondono le gemme più preziose.”

“E, come ho sempre fatto con i miei apprendisti, non mi limiterei alle parole. Mostrerei. Darei esercizi pratici, sfide che richiedano non solo il pensiero, ma l’azione concreta, il superamento del dolore, della stanchezza, della voce che dice ‘non puoi’. Perché la vera forza si forgia nell’atto, non solo nella contemplazione.”

Bellissimo ciò che dici, ma come ti saresti distinto?

“Mi distinguerei per la mia ossessione per l’essenza. Mentre altri potrebbero insegnare a ‘brillare’ o a ‘essere felici’ con superficialità, io cercherei la verità nuda e cruda dell’individuo. La bellezza non è nel lustro esterno, ma nella perfezione delle forme interne, nella potenza dell’espressione autentica. Non cercherei di rendere i miei ‘allievi’ uguali ad altri, ma di renderli più pienamente se stessi, nella loro singolare e irripetibile grandezza.”

“Sarei il ‘coach del non finito’, forse. Perché la vita è un’opera in costante divenire, e il significato non è nella perfezione statica, ma nel processo continuo di creazione e miglioramento. Insegnerei ad abbracciare l’imperfezione come parte del viaggio, a trovare la bellezza anche nelle cicatrici, perché sono il segno della battaglia vinta.”

“…Infine, mi distinguerei per la visione del potenziale. Vedrei in ogni persona non ciò che è, ma ciò che potrebbe diventare, la statua già racchiusa nel blocco; la mia passione sarebbe quella di aiutarli a liberarla, un colpo di scalpello alla volta, fino a che la loro anima non risplenda nella sua forma più nobile e potente.”

Dal libro “Dialogando con i Grandi” di Amanda Gesualdi




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