Recensione volume “Open. La mia storia”, di Andre Agassi, Einaudi, Torino, 2015.
A cura di Albertina Pretto
Come si evince subito dal titolo, questa è la biografia del noto tennista Andre Agassi, elaborata a quattro mani con il giornalista e scrittore John Joseph Moehringer. Che qualcuno lo avesse aiutato a creare questo bel libro, appare evidente quando lo si legge, poichè lo stesso Agassi racconta che la sua formazione scolastica è stata a dir poco scarsa. Nella sua vita, infanzia, adolescenza e giovinezza sono ruotate quasi interamente attorno al tennis.
Per passione? Nemmeno per idea. Agassi ci lascia stupefatti quando, all’inizio del volume, dichiara: “Io odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare”. Lo odia perchè è stato costretto a giocarci dal padre, al quale non era pensabile dire di no. Annuire e obbedire era l’unica cosa che Andre poteva fare di fronte alle imposizioni paterne.
Ad Agassi è stata rubata una parte della sua vita mentre cercava di capire chi fosse e cosa volesse, equesto è accaduto sotto gli occhi di tutti, inclusi quelli del pubblico e della stampa: “quando ho cominciato a giocare a tennis ero come la maggior parte dei ragazzini: non sapevo chi ero e mi ribellavo al fatto che fossero i grandi a dirmelo”.
Come succede nella vita di molte persone, anche quella di Agassi è stata condizionata da emozioni e stati d’animo che non riusciva a comprendere e (di conseguenza) a controllare; mentre percorreva una carriera che non aveva scelto, passava dalla rassegnazione alla ribellione, dalla tranquillità alla rabbia, dalla gioia alla tristezza.
Questa biografia è profondamente rilevante per chi si occupa di sport coaching (e non solo) perchè ci aiuta a capire cosa può accadere nella mente di un grande atleta. Per essere vincenti, nello sport come nella vita, non bastano infatti il talento e l’allenamento fisico, ma occorrono anche competenze mentali.
Cosa sarebbe stato di Agassi se avesse avuto al fianco un bravo mental coach sin dall’inizio? Non dimentichiamo, infatti, che il nostro amato Sinner di mental coach ne ha due.