Autore: redazione

Cambiamento

Cambiamento è una parola che spesso fa scattare in noi un brivido, fa tendere i nostri muscoli come se con esso dovessimo combattere o scappare, neanche si trattasse di un pericoloso predatore di cui aver paura. Invece il cambiamento è l’unica costante nell’universo e nella nostra vita, addirittura aggiungerei, per fortuna.

Pensate se nulla cambiasse dalla nascita alla nostra morte, sarebbe quantomeno tragico. Certo a volte ci sembra che tutto stia andando nella giusta direzione e di punto in bianco una mano invisibile butta per terra il mazzo nella nostra partita fortunata. Ma siamo sicuri fosse la partita ideale o semplicemente ci eravamo abituati a quella determinata situazione e nemmeno ci rendevamo conto fosse necessario uno scossone alla nostra vita?

Dunque, avendo variabili infinite, non possiamo dominare e neppure controllare il cambiamento, ma possiamo scegliere come reagire ad esso. Possiamo per esempio risvegliare il potere della bellezza che dimora in ciascuno di noi e in ogni cosa, perché siamo l’unica forma di vita che la può sperimentare, così come la capacità di trovare il vantaggio o il dono negli angoli più remoti e bui dei nostri accadimenti. Sarà un’esperienza a tutto tondo che coinvolge la mente e il cuore e che nasce dalla volontà di vedere la perfezione in ogni dove, persino in quello che a prima vista pare tutto nero.

Ovviamente non è subendo passivamente il cambiamento o disperandoci quando avviene, che questo fenomeno immutabile potrà tornarci utile. Solo scegliendo di cogliere i vantaggi che esso ci porta, anche se a volte piccoli, difficili da notare e magari non immediati, che potremo trovare il giusto modo per affrontarlo e addirittura potrebbe essere per noi il momento di cogliere importanti insegnamenti.

Come possiamo fare? Prima di tutto ci vuole la volontà di dare un nuovo significato agli accadimenti, togliere la patina convenzionale con cui li abbiamo ricoperti per ridar loro una nuova luce. Il ritrovamento del vantaggio o del dono ci porta oltre l’esperienza dolorosa fino ad incontrare la saggezza che essa può portare.

Insomma, spegniamo il cervello e affidiamoci, smettiamo di fare calcoli, di quantificare ciò che abbiamo perso o di trovare i difetti nella nuova situazione! La felicità è una scelta che possiamo fare per ogni momento della nostra vita, prendendola per com’è, senza preoccuparci troppo di come mai un cambiamento, anche se doloroso, è avvenuto, ma concentrando le nostre energie su come possiamo fare per ricominciare.

Di fatto non ci sono situazioni irrisolvibili quando crediamo che la nostra vita abbia un senso.

Non dobbiamo mai mettere in discussione la nostra capacità interiore di compiere mutamenti e, se vogliamo dirla in due parole: niente scuse! Possiamo stilare regole, preparare nuove visioni, seguire istruzioni semplici o complicate, ma niente ci renderà immuni al cambiamento. Una sola condizione, sempre la stessa, dovrà accompagnarci per il resto della vita, ed è considerare che ogni felicità comincia da un pensiero libero nella nostra mente.

Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti – Charles Darwin –

A spasso con la mia amica Ansia

Cos’è per me l’ansia?

Bella domanda… quando per la prima volta ho avuto davanti il programma del corso per diventare Mental Coach, i miei occhi sono andati a finire proprio a quell’appuntamento, appuntamento arrivato per caso? E, come recitava il saggio Jung: “il caso non esiste, esiste la sincronicità degli eventi”.

L’ ansia è quella cosa che mi porto in tasca tutte quelle volte in cui sono chiamata a competere con le mie insicurezze, con le mie paure mai gestite fino in fondo e nascoste da quella maschera di “Wonder Woman” che indosso puntuale per far fronte alle sfide, alle prove che mi mette davanti la vita.

 

Quando ti viene l’ansia?

Intanto non è semplice circoscriverla perché è data dalla sensazione di un potenziale pericolo, o meglio, la mente lo percepisce come tale.

Ti puoi sentire spaventato, inadeguato o incapace di agire e ne consegue l’agitazione interna con tutte le sue manifestazioni fisiologiche: tachicardia, senso di oppressione, giramenti di testa, sudorazione improvvisa, panico.

Può venirti perché hai:

  • paura dell’ignoto, di ciò che non conosci, di ciò che non puoi controllare, di una esperienza nuova con la quale sei chiamato a confrontarti.
  • paura di commettere errori per una scelta, una decisione da prendere o una sfida da affrontare.
  • paura di fare una figuraccia che fa scattare il tuo allarme interno, ad esempio, quando devi fare un intervento di fronte a qualcuno, una gara, un esame, un colloquio di lavoro.
  • paura che possa accadere qualcosa alle persone che ami, paura delle malattie; in casi come questi cerca di rassicurare quel “bambino spaventato” dicendogli che ce la può fare perché di fatto è forte e ne ha superate tante, sicuramente più toste di questa del momento.

 

Come affronto l’ansia?

Per prima cosa me la faccio “amica”, la assecondo, perché se è arrivata mi sta dicendo che vuol essere ascoltata ed accolta.

Parto col mio dialogo interno (Self Talk), voglio comprendere prima di tutto perché è venuta a farmi compagnia, se è dettata solo dalla condizione del momento oppure se è alimentata da qualche evento scatenante, rimasto nella mia memoria mentale ed emozionale e non saputo gestire in passato.

Torno indietro con la mente, faccio le mie libere associazioni e quando le identifico, perché ci sono quasi sempre, mi metto a ridere. Rido! Si!

Rido perché l’ho smascherata, e le tolgo, così, il potere, con una espressione divertita, seguita da una frase del tipo: ” il fantasma si sconfigge con una risata” e allento così la momentanea perdita del controllo di corpo e mente.

 

Come puoi disinstallare l’ansia in 7 passi:

  1. prendi coscienza dell’esistenza dello stato dell’ansia
  2. respira profondamente
  3. individua, analizza e modifica il pensiero negativo
  4. sposta il focus
  5. impara a giocare d’anticipo, trova soluzioni
  6. abituati a convivere con l’incertezza
  7. visualizza scenari rilassanti

 

L’ansia è tutto ma può diventare niente nel momento in cui prendi coscienza di quale evento fa scattare il tuo allarme interno e ti metti nella condizione di gestirlo con la fiducia necessaria appresa dall’esperienza e la voglia di voler vincere anche stavolta.

E tu, come disinstalli l’ansia?

 

Rosalba Bruno

Come trasformare il tuo sogno in opportunità

Ognuno di noi ha almeno un sogno depositato nel proprio cassetto mentale. Si sa, sognare è una delle più belle cose che facciamo e che custodiamo gelosamente all’interno di noi. Ma spesso la chiave per aprire quel cassetto si fatica a trovare o si ha paura di inserirla all’interno della serratura giusta. Eppure stiamo parlando del nostro Sogno!

Quante volte ci siamo detti: “tanto è solo un sogno, tanto non lo raggiungerò mai”, oppure “quanto mi piacerebbe arrivare ad essere questo tipo di persona, ma come posso fare? Come posso riuscire a trasformare il mio sogno in un obiettivo potenzialmente realizzabile?”.

Voglio ricordarti la citazione di Walt Disney che diceva : “La differenza tra un sogno e un obiettivo è semplicemente una data”.
Poiché determinare un tempo specifico, per poter trasformare il proprio sogno, significa trasformare l’astratto in un qualcosa di concreto e tangibile.
Tutto ciò che sta nel mezzo non è altro che l’acquisizione di un metodo, la costruzione di una propria Road Map da impostare che ti permetterà di giungere alla meta.
Quando si formula un obiettivo, affinché sia il più possibile funzionale, bisogna che tenga fede a determinate caratteristiche che ne garantiscano la buona riuscita.
A volte si fa presto a dire “voglio questo, voglio essere questo ecc.” ma è proprio quel voglio che necessita di una costruzione, specifica, misurabile e realistica che tenga conto di alcune linee guida che andranno a costruire un obiettivo. Il rischio che si incorre nell’idealizzarlo, senza che rispetti specifiche caratteristiche, è proprio quello della non realizzazione di queste e delle inevitabili conseguenze che ne derivano come frustrazione ed insoddisfazione.

 

Cosa sono gli “OBIETTIVI S. M. A. R. T.”?

Ogni obiettivo da raggiungere necessita di alcune regole da rispettare poiché, proprio grazie a queste, possiamo costruire un obiettivo robusto, che abbia salde fondamenta in partenza.
Un modo efficace per formulare le caratteristiche di un obiettivo robusto è l’acronimo S.M.A.R.T.

S = Specific (Specifico)
M= Measurable (Misurabile)
A = Action-Oriented (Raggiungibile)
R = Realistic (Realistico)
T = Time-Based (Temporizzabile)

 

HOW TO REACH HAPPINESS S.M.A.R.T-LY?

Per pianificare un obiettivo “SMART” dovrai porti cinque domande.

Se il tuo obiettivo non soddisfa anche uno solo dei requisiti richiesti, dovrai rivederlo o ridimensionarlo.

1. È un obiettivo Specifico? Un obiettivo deve essere definito e chiaro. Bisogna esprimere chiaramente cosa, come e perché lo vuoi raggiungere.

2. È un obiettivo Misurabile?
Deve avere una scalabilità nel raggiungimento.

3. È un obiettivo Raggiungibile?
Bisogna conformare l’obiettivo al tuo reale potenziale, il tuo progetto deve essere realistico e commisurato alle risorse e alle capacità di cui disponi.

4. È un obiettivo Rilevante?
Prima di impiegare tempo, risorse, energie e denaro, valuta se ne valga davvero la pena, analizzando attentamente il rapporto costi/benefici del progetto che stai per intraprendere.

5. È un obiettivo che può essere Temporizzato?
Ogni obiettivo è legato ad una scadenza e prevede tutta una serie di step di verifica che implicano precise relazioni tra le varie attività necessarie al suo compimento.

Come avrai potuto osservare, progettare un obiettivo richiede impegno, analisi ed una buona dose di onestà verso se stessi e verso cosa si vuol essere o raggiungere.

Ora, ti chiedo di fare un ulteriore considerazione:
Una volta che hai costruito il tuo obiettivo “robusto” è il momento di verificare le conseguenze dopo la sua realizzazione.
Capire cosa accade se lo realizzi serve ad aiutarti nel comprendere se l’obiettivo scelto è coerente con le tue aspettative:

  • Come influenzerà sulle altre aree della tua vita?
  • Come influenzerà sulle persone che ti circondano?
  • Sei disposto a fare tutte le azioni utili al raggiungimento del tuo obiettivo?
  • Sei disposto a rinunciare ai “benefici collaterali” che la situazione attuale ti dà?

Ricorda: quando arrivi ad essere consapevole di tutti questi passaggi, hai già fatto un grandissimo lavoro e hai gettato le fondamenta per trasformare il tuo sogno in opportunità.

Adesso, finalmente, puoi incominciare a costruire la tua Road Map che ti porterà dritto e sicuro verso il tuo successo e io ti guiderò verso ciò che eri destinato ad essere: avevi solo bisogno di divenirne consapevole.

E tu, hai voglia di sognare?

 

Rosalba Bruno

Rincorrere un’identità passata

Se in passato sei stato un “buon” atleta, ma vari eventi di vita e decisioni prese ti hanno trasformato in una versione inattiva e fuori forma di te stesso, ritornare a fare sport può generare una crisi di identità, in quanto, dal punto di vista emotivo, i ritorni vengono calibrati sulla tua identità precedente. Forse eri abituato ad essere uno dei migliori sulla scena locale del triathlon. Tutti ti conoscevano come “quello lì”, perché eri solito annientare il gruppo locale o perché eri uno dei più veloci nella tua squadra di corsa. Dopo un paio d’anni di stop per infortunio, per il lavoro o per problemi di famiglia, ritorni a fare sport.

Sei ancora grintoso e competitivo, se non fosse che ora sei lento come la melassa (perlomeno ai tuoi occhi). Persone che eri solito battere con facilità sembrano essere migliorate un bel po’ e ora ti sorpassano senza sforzo. Forse ti stai facendo demoralizzare dal fatto che la tua andatura sul chilometro non è mai stata così lenta. Può essere estremamente frustrante e, in alcuni casi, sufficientemente impegnativo dal punto di vista emotivo da minare la tua motivazione e da mettere in dubbio se ne valga ancora la pena. In questo caso la soluzione è focalizzarsi sul costruire una nuova identità sportiva, una rielaborazione di cosa senti importante e di come misuri il successo, la tua nuova normalità.

Pensa alla tua nuova identità come alla fase iniziale di un restyling o l’inizio di una versione 2.0 del tuo essere atleta. Invece di ricordare il passato riguardandolo con toni rosei, focalizzati su quello che non ti piaceva delle tue precedenti abitudini di allenamento e su cosa vorresti fare di diverso questa volta. Forse non facevi stretching o non eseguivi mai un’analisi biomeccanica della tua corsa per ridurre il rischio di farti male. Forse ti allenavi troppo. Durante le sessioni di allenamento, dedica più tempo agli obiettivi di processo, come ad esempio la tecnica e la forma, piuttosto che focalizzarti sugli obiettivi finali, quali il tempo complessivo o il passo medio su una data distanza.

Roberto Lorenzani

La Visualizzazione

Venticinque secondi alla fine della partita, mi capita tra le mani una palla che non doveva essere la mia, di solito in questi frangenti sono i giocatori “stranieri” che si devono prendere pesanti responsabilità. Stiamo perdendo di un punto contro Bologna, una delle favorite per la vittoria del titolo, di fronte ai nostri undicimila tifosi partenopei. Il tiro lo faccio io da otto metri, la palla entra, vinciamo di un punto, a quel tempo non esisteva ancora il tiro da tre punti…. pandemonium… con quella vittoria restiamo in gioco per la conquista del play off. Avevo immaginato quel tiro non so quante volte in quei mesi. Lo avevo sognato, lo avevo sperimentato in allenamento proprio come poi successe…. come doveva succedere…. perché niente capita a caso soprattutto se tu desideri profondamente qualcosa. A quel tempo non sapevo che se immagini qualcosa con tutto te stesso poi si realizza. Ho sempre fatto molta attenzione, prima da giocatore poi da allenatore, a quanto il mio rendimento fosse condizionato dai miei pensieri, erano sensazioni, ma non c’era consapevolezza. Molti anni dopo ho preso coscienza che se avessi conosciuto certi meccanismi avrei fatto meno errori e forse la mia carriera sarebbe stata differente… in meglio. Il Mental Coaching, le tecniche di allenamento delle capacità mentali hanno dato tutte le risposte ai miei perché.

Perché dopo aver fatto un’eccellente settimana di allenamento, il giorno della gara ero divorato dall’ansia e dalla tensione con conseguenze disastrose nella mia prestazione?

Perché per molti anni da allenatore, diciassette per la precisione, ho inseguito la vittoria di un campionato senza considerare che il vincere non era la cosa più importante? Non pensando che il percorso per arrivare ad una finale fosse la vera essenza del mio lavoro?

Tante cose nel percorso di Mental Coaching hanno trovato una spiegazione, ma soprattutto una collocazione, un ordine. Per questo avere incontrato il Mental Coaching è stato come ricevere un dono. Ma che senso avrebbe avuto tenere per sé il dono ricevuto? Fare il Mental Coaching ha significato condividere con gli altri questo dono. Il mio obiettivo è stato quello di portare la mia esperienza agli allenatori e agli atleti. Vorrei fermamente che gli altri possano ottenere il massimo sfruttando al massimo le loro capacità, evitando gli errori che io ho commesso. Prendendo coscienza di quanto sia potente la forza della nostra mente se incanalata e gestita con i giusti mezzi.

Tanti mi chiedono cosa sia il Mental Coaching, cosa significhi allenare le capacità mentali, cosa fa un Mental Coach? Molto semplicemente dico che il Mental Coaching sia la “missione” nel trasmettere le proprie esperienze, il proprio passato, il proprio vissuto.  Tutto ciò ha un valore assolutamente rilevante se supportato da ore passate a formarsi attraverso corsi o seminari e…. sporco lavoro sul campo.

Ps. A proposito di quel famoso tiro in quella partita, non fu un caso perché la stessa situazione capitò altre tre volte nel finale di quella stagione…. allora non sapevo che per arrivare a quel punto avevo usato una tecnica fondamentale nell’allenamento delle capacità mentali… LA VISUALIZZAZIONE!!!!

 

Fabio Fossati

Alla scoperta del Coaching: le origini antiche

Voglio presentare il Coaching partendo dalle sue più remote origini, attraverso un viaggio che ci porta indietro nel tempo alla scoperta della sua essenza autentica: la Consapevolezza.

Ma da dove arriva la capacità di conoscere se stessi?

Incisa nel Tempo di Apollo a Delfi, “Conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei” è forse la prima massima a cui si può far riferimento quando parliamo di Coaching.

Perché è così importante conoscere se stessi?

Conoscere se stessi, i propri pregi ed i propri limiti, il sapere dove si vuole andare e cosa si vuol diventare, in altre parole: accrescere la consapevolezza di sé.

Socrate fu il primo che riconobbe l’importanza di andare ad indagare all’interno del proprio io, di scavare dentro il proprio essere perché in esso vi è contenuta la conoscenza e le risposte alle domande. Egli scelse proprio il termine “maieutica”, ovvero l’arte ostetricia, poiché Socrate portava il suo interlocutore a “partorire” le conclusioni e le soluzioni ai suoi dubbi ed ai suoi quesiti, dimostrando, dunque, che erano già all’interno di sé, bastava solo cercarle. “Da me non hanno imparato mai nulla, ma da loro stessi scoprono e generano molte cose belle”.

Il Coach non deve mostrare la strada giusta, bensì deve guidare il coachee a cercarla all’interno di sé, senza alcuna forzatura. Maestro è dunque colui che, sollevando dubbi ed incertezze, conduce l’allievo alla propria verità e alle proprie conclusioni, senza corromperlo o instillandogliene delle proprie.

In seguito, altri come Socrate, diedero maggiore importanza alla ricerca di se stessi e, in generale, del proprio io interiore. Uno di questi fu il poeta Pindaro che, decine di anni prima rispetto a Socrate, formulò la frase “Diventa ciò che sei, avendolo appreso”. Egli, riferendosi ad un albero, il quale cresce rigoglioso solo per il semplice fatto di esser stato piantato, suggerisce l’importanza di scoprire all’interno di sé le proprie potenzialità e la propria natura, al fine di perseguirla a tutti i costi. L’appello che vuole fare Pindaro è quello di seguire intensamente i propri progetti, i propri sogni e le proprie ambizioni, di vivere la propria vita senza imitare quella degli altri, poiché sarebbe contro la propria natura.
Si possono dunque intrecciare i concetti proposti da Socrate e da Pindaro in un’unica massima “Discerni chi e cosa sei nel tuo cuore, e poi diventalo”.

Abbiamo dunque visto i primi due aspetti del Coaching, ovvero la consapevolezza di sé e la capacità di riconoscere le proprie potenzialità.

Una volta fatto questo, è altresì importante essere in grado di individuare una meta, un obiettivo da raggiungere. Tutto questo lo ritroviamo nel “De Vita Beata” di Seneca il quale, in questo piccolo trattato stoico sulla felicità, dialogando col fratello maggiore Gallione, ci mostra i primi mattoncini che sono in realtà le basi fondamentali da seguire per ottenere i risultati: “Tutti, o fratello Gallione, vogliono vivere felici, ma quando poi si tratta di riconoscere cos’è che rende felice la vita, ecco che ti vanno a tentoni; a tal punto è così poco facile nella vita raggiungere la felicità, che uno, quanto più affannosamente la cerca, tanto più se ne allontana, per poco che esca di strada; che se poi si va in senso opposto, allora più si corre veloci e più aumenta la distanza. Perciò dobbiamo prima chiederci che cosa desideriamo; poi considerare per quale strada possiamo pervenirvi nel tempo più breve, e renderci conto, durante il cammino, sempre che sia quello giusto, di quanto ogni giorno ne abbiamo compiuto e di quanto ci stiamo sempre più avvicinando a ciò verso cui il nostro naturale istinto ci spinge”.

Vediamo dunque come, in queste parole, sia contenuta l’essenza pura del Coaching: innanzitutto Seneca parla di stabilire degli obiettivi chiari, infatti come prima cosa “dobbiamo prima chiederci che cosa desideriamo”; in seguito, egli suggerisce di stabilire un piano d’azione, semplice ed efficace “poi considerare per quale strada possiamo pervenirvi nel tempo più breve”; infine, riprendendo anch’egli lo stesso concetto di Pindaro, ovvero seguire la propria natura, invita chiunque a controllare regolarmente a che punto si trovi,  a quale scalino della scala che porta al successo si è arrivati “e renderci conto, durante il cammino, sempre che sia quello giusto, di quanto ogni giorno ne abbiamo compiuto e di quanto ci stiamo sempre più avvicinando a ciò verso cui il nostro naturale istinto ci spinge”.

Altro autore antico che ha contribuito a mettere le fondamenta di quello che è il coaching moderno è il filosofo Parmenide, il quale sosteneva che niente fosse impossibile, ma anzi, chiunque era in grado di raggiungere i propri obiettivi, non solo individuandoli, ma anche “trovando il coraggio di percorrere la via”.

È fondamentale, una volta che si è fissato il proprio obiettivo, passare dall’intenzionalità all’azione, poiché, una volta che si ha il coraggio di cambiare, ogni cosa diventa non solo possibile, ma anche realizzabile.

Il cambiamento, dunque, è il punto di arrivo del percorso di Coaching, poiché solo una volta che si sono modificate le proprie abitudini, il proprio modo di vedere la vita, di vedere se stessi e le proprie potenzialità, si è in grado di riconoscere le proprie capacità e passare dalla “normalità all’eccellenza”.

Colui che, nei tempi antichi, fu il primo a dare importanza al cambiamento fu senza dubbio Eraclito. “Panta rei, os potamòs” ovvero “tutto scorre, come un fiume” ovvero “tutto cambia” e il cambiamento è l’unica cosa di cui l’uomo è certo, l’unica cosa che accadrà sempre.

L’uomo, dunque, deve essere non solo in grado di accettare il cambiamento, ma anche prenderne parte, superare le proprie resistenze per evolversi e diventare una persona migliore.

E voi, siete pronti a viaggiare dentro voi stessi?

Rosalba Bruno

 

Credenze limitanti

Se una cosa la vuoi, una strada la trovi. Se una cosa non la vuoi, una scusa la trovi.

Quante volte si cercano delle scuse per descrivere insuccessi, fallimenti, perdite. Si cercano e si trovano spiegazioni apparentemente logiche che però nulla hanno a che vedere con la performance vera e propria. Si descrive quindi la realtà, anche con spiegazioni complete e veritiere, il problema è che spesso si trovano spiegazioni e scuse che vanno al di là della prestazione stessa. Ancor peggio è il cercare scuse prima di una gara per descrivere come sia impossibile vincere, correre bene, veloce, perché si presenta una particolare situazione che però elude appunto la prestazione.

Questo modo di pensare e di porsi l’ho coniato come la “Logica delle scuse”.

Si sentono Atleti che prima della competizione siano convinti che sia impossibile vincere o di ottenere una buona prestazione, perchè c’è vento, perché la corsia ricevuta non é la preferita, perché fa freddo, perché fa caldo, perché ci sono dei ritardi. Si descrive spesso perfettamente la realtà, concentrandosi su aspetti che sono però oggettivamente indipendenti da noi, su cui non abbiamo alcun potere. Si utilizza quindi la realtà per trovare scuse e spesso per nascondere poi paure. La cosa peggiore è che ci si concentra su di esse, sul vento, sulla corsia, sulla pioggia, dimenticandosi la cosa importante su cui ci si deve sempre concentrare: la gara e correre bene.

Il principio della realtà dice che la realtà è quella che è, non quella che vorremmo che fosse. Partendo da questo principio vediamo, quindi, quanto la capacità di adattamento sia fondamentale: bisogna adattarsi a tutto. Se si aspettano le condizioni ideali probabilmente non si avrà mai la possibilità di ottenere prestazioni al limite delle proprie possibilità.

Una volta che si riesce a tirar fuori il meglio di se in condizioni difficili, quando avremo condizioni per noi ottimali non correremo forte, ma fortissimo. Spesso queste “scuse” sono delle e vere proprie credenze, dogmi, che sono dei limiti interni molto forti e ostacoli per le nostre performance. Quale è il problema? Se un Atleta rimane convinto che in prima corsia sia impossibile correre bene, quando gli capita la prima corsia in gara molto probabilmente correrà male. Questo non farà altro che confermare e rinforzare le sue credenze che lo continueranno sempre più a boicottare. Queste sono infatti chiamate “Credenze limitanti“.

Il mio consiglio è, prima di una gara, di focalizzarsi su di essa e su aspetti che siano dipendenti da voi. Per il resto ci si deve adattare, la capacità di adattamento è una dote che ha permesso ai nostri avi di sopravvivere e che è fondamentale nella vita, come anche nello sport. Se volete tirar fuori il meglio di voi adattatevi a tutto.

Non ci sono scuse, non ci sono credenze, non ci sono limiti se non nella vostra testa.

DANIELE BIFFI

Il bruco che vuole essere farfalla


Belli, i vent’anni.
Quel periodo di tempo in cui si è abbastanza grandi per poter accedere a molti privilegi della vita da adulti, ma ancora abbastanza piccoli per non essere costretti a farsi carico di tutte le responsabilità e dello stress da perdita prematura di capelli.

Si inizia a fare i primi passi verso la maturità e la consapevolezza di cosa si vuol diventare, degli obiettivi da conquistare, delle avventure da assaporare.
Apparentemente, si torna ad essere di nuovo dei neonati: il mondo fuori sembra così surreale, ricco di aliene opportunità da cogliere e sfide da affrontare ogni giorno.
Lo si vuole afferrare quel mondo, lo si vuole prendere, sbranare, spolpare fino all’osso per assimilarne ogni singola particella di esistenza, esperienza e occasione. Per non lasciarsi sfuggire nulla e salire su ogni treno che si ferma sulla personale e frenetica stazione di sogni e di pensieri.

O, perlomeno, è quello che ci si aspetterebbe.

Su circa due miliardi di adolescenti in tutto il mondo, mai nella storia un numero così alto, vi sono molti ragazzi e ragazze che fanno fatica ad essere protagonisti di questo enorme palcoscenico di possibilità, rifugiandosi in un ruolo secondario, abbracciando l’idea di essere semplici comparse del loro stesso spettacolo.
Come canne al vento, si muovono disillusi e navigano senza meta nel mare nostrum delle occasioni perdute e delle aspettative disattese. Non solo non si sentono aggressori del mondo, ma si fanno aggredire da esso, senza porre alcuna opposizione.

Noi, come Coach, abbiamo il compito di essere dei “pescatori di talenti” e di accogliere e guidare questi adolescenti, al fine di far accrescere in loro la giusta fiducia e la voglia di prendere in mano la propria vita, facendone qualcosa di significativo.

Il Coach deve essere in grado di portare il giovane marinaio a tracciare la propria rotta, la propria meta, facendolo riappropriare di quella motivazione salda per poi trasformarla in carburante, dando energia ad ogni ambito della sua esistenza.

Bisogna far riaccendere la scintilla della voglia di fare, negli occhi di coloro che si sono abbandonati e arresi alla pigrizia e al lassismo, per trasformarli in indomabili guerrieri alla ricerca di possibilità e opportunità.

Non più canne al vento, ma solide sequoie secolari, in grado di resistere ad ogni tempesta e intemperia che, inevitabilmente, si presenterà durante il loro percorso di crescita, sia fisica che emotiva.
Il lavoro del Coach è quello di una bussola: guida l’adolescente verso la direzione perfetta, la giusta rotta senza comunque percorrerla per lui. Il compito sta proprio nel portare il giovane marinaio consapevole all’autoregolazione, affinché il buio possa divenire sempre luce, anche senza faro.

E per voi, com’erano, oppure, come sono i vostri vent’anni?

Rosalba Bruno

Diario di un Mental Trainer – Numero 0

A volte sento dire che fare lo studente universitario è facile, che non è stressante, che può fare ciò che vuole e che si diverte e basta. Quello che posso dire, dal mio punto di vista privilegiato di Docente in diversi Atenei Milanesi è che fare lo studente è una professione. Questa affermazione non è una affermazione di poco conto perché provate a compilare qualsiasi questionario di profilazione dove viene chiesta la professione se trovate la voce studente…

Dico questo perché da questa affermazione seguono molte considerazioni. Possiamo partire da quello che è un po’ per tutti questo periodo e cioè un cambiamento epocale delle professioni e dei consumi. Tutte le professioni sono cambiate, e quella della studente? Mettetevi nei panni di uno studente se non lo siete e considerate che lo studente oggi fruisce delle lezioni on line, vive lo studio in un contesto diverso dal solito (prevalentemente la sua casa) lontano da quello universitario, ha dovuto cambiare la sua routine quotidiana nello studio fatta di punti fermi, vive lontano dagli altri studenti con azzeramento delle attività collaterali.

Come ha reagito a tutto ciò lo studente?
In questo periodo sono rimasto in contatto con gli studenti sia per il fatto di aver insegnato in diversi corsi sia perché mi occupo di sport universitario. Ebbene ci sono state diverse reazioni quelle più frequenti sono state la difficoltà di riprendere il ritmo dello studio.

In tutte le professioni è importante l’aspetto mentale e lo studio è la massima espressione. I primi feedback che ho avuto all’inizio sono stati che giornate intere per gli studenti sono state inconcludenti, con difficoltà di concentrazione e distrazione da parte dei familiari e così via. Poi c’è stata la svolta a due vie, da una parte studenti che hanno analizzato la loro produttività in termini di studio giudicandola molto bassa malgrado maggiori ore di studio e con una concentrazione valutata al 50-60%. Questo gruppo dotato delle famose soft skill con chiari gli obbiettivi ha svoltato nel trovare un nuovo modo di allenamento mentale. Risultato ne è stato che ha raggiunto gli obbiettivi superando anche le aspettative.

Cosa è successo dell’altra parte di studenti?
E’ rimasta in mezzo al mare facendosi cullare qua e la e ha lasciato gli ormeggi nell’attesa che passase il tutto e dunque ha frequentato le lezioni in maniera passiva e non si è spinto a capire come superare le difficoltà e come risultato ha avuto parecchie difficoltà di performance agli esami con stati d’ansia notevoli.
Cosa ci insegna tutto ciò?
Che nelle prestazioni di ognuno di Noi, soprattutto per lo studente è importante la parte del contenuto e nel nostro caso lo possiamo tradurre nello studio, che è importante la parte fisica e l’inattività fisica porta ad un irrigidimento e conseguente precoce affaticamento e che è importante l’allenamento mentale per gestire le emozioni nelle prestazione dello studio funzionali poi ai risultati degli esami.

Alberto Biffi

“Una nuova opportunità: il Mental Coaching” – Matteo Noè

Qualche anno fa a causa di un lancinante dolore cronico al braccio sinistro, risultato di una serie di danni fisici causati da un incidente stradale di anni prima e che nonostante i molti tentativi rimaneva irrisolto, caddi nella depressione. Poi la dottoressa Cristiana Salvadori un bel giorno mi disse che per affrontare la mia situazione, per combattere il dolore, avevo bisogno di un motivatore, di un Mental Coach.

Non riuscivo a capire in quale modo avrebbe potuto aiutarmi ed ero sinceramente molto scettico verso tale argomento, non conoscevo e non credevo nelle potenzialità della mente. Come uno che nemmeno era medico poteva riuscire dove fior fiore di terapisti e chirurghi di ogni genere avevano fallito, cosa poteva fare un semplice “motivatore” per risolvere il mio problema? Beh, in fondo avevo provato tutto ciò che potevo e avrei provato anche quello, tanto non avevo nulla da perdere. Ed è con questo spirito che chiamai il numero datomi da Cristiana.

Il telefono squillava, era libero e rispose Alberto Biffi. Ancora non lo sapevo ma quella era una delle telefonate più importanti della mia vita. Ci accordammo e di lì a qualche giorno sarebbe venuto a casa mia per farsi conoscere di persona, non mi aveva invitato a raggiungerlo nel suo studio, sede, ufficio o altro ma veniva lui da me! Avrei affrontato con lui un percorso di Mental Coaching, che si sarebbe svolto in dieci sessioni a distanza utilizzando una piattaforma per riunioni online.

Arrivò il giorno del nostro incontro e all’ora stabilita, anzi con qualche minuto di anticipo, il campanello suonò e Alberto entrò in casa mia. Non so dire perché ma subito sentii di potermi fidare, con il suo modo di comunicare riuscì immediatamente a creare tra noi una certa empatia. Successivamente iniziai il mio percorso e praticamente da subito lui riuscì aumentare la mia autostima, ogni volta, qualsiasi cosa facessi durante le sessioni, mi faceva notare i lati positivi. Così in un tempo relativamente breve, in cinque o sei sessioni qualcosa iniziò a cambiare.

Capii che se avessi voluto ricominciare a vivere, uscendo dalla depressione in cui stavo sprofondando, avrei dovuto cambiare il mio punto di vista. Nulla era più come prima del disastro e anche il mio modo di ragionare non poteva più essere lo stesso, dovevo basare i miei pensieri su quello che è uno dei principi fondamentali del Mental Coaching, il “Qui ed Ora”. Secondo questo principio, che è poi diventato un punto chiave della mia Filosofia di vita, dovevo iniziare a considerare ciò che ero, ciò che avevo a disposizione nel momento presente e non quello che possedevo molti anni prima, quando il fatto di essere normodotato mi permetteva infinite scelte. Oggi le opzioni erano sicuramente diminuite, ma erano ancora molte di più rispetto a quelle, pari a zero, che scorgevo prima di cominciare a conoscere i segreti della mente.

Intesi che volendo avrei potuto ancora essere utile a me stesso, avrei potuto ancora percorrere innumerevoli strade e raggiungere traguardi importanti, solo avrei dovuto studiare attentamente il percorso, gli strumenti da utilizzare e calcolare diversamente da prima il tempo necessario a compiere il viaggio. Così però sarebbero comunque arrivate grandi soddisfazioni e avrei potuto allontanarmi dalla mia poltrona e dalla mia comfort zone, che ultimamente si era praticamente trasformata in una prigione di noia.

Successivamente però, iniziai a capire che ciò che mi aveva tanto aiutato poteva aiutare anche altri che si trovavano in una situazione simile a quella dalla quale ero uscito e quando si presentò l’occasione di frequentare un corso per ottenere il diploma da Mental Coach, incitato dalla Doc (Cristiana), pensai che fosse un’opportunità da non perdere. Così fresco di un percorso di Mental Coaching da cliente e disseppelliti un entusiasmo e una forza di volontà che quasi non ricordavo di avere mi sono buttato a capofitto nel primo di una serie di corsi, che mi hanno portato a diventare prima Mental Coach, poi Certified Mental Coach ed in fine Mental Trainer.

Oggi con il medesimo entusiasmo lavoro con persone affette da disabilità aiutandole a trovare i propri obiettivi e successivamente a raggiungerli, con studenti migliorando il loro rendimento scolastico, con aspiranti Mental Coach essendo Trainer presso Mental Training Italy e seguo vari progetti inerenti all’ambito del Life Coaching, che è poi la mia specializzazione su cui continuo ad aggiornarmi.

 

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