Correre per sé stessi: quando la forza nasce da un perché

Written by on 22/08/2025

In una gara campestre, il gruppo parte compatto. Il terreno è bagnato, l’aria è frizzante. I corridori si muovono in sincronia, come un unico corpo. Ma poi, inevitabilmente, i più veloci allungano il passo. I più lenti restano indietro.

C’è però un ragazzo che non si stacca, semplicemente perché non riesce nemmeno a tenere il passo iniziale. Non per mancanza di volontà, ma perché il suo corpo è segnato da una condizione neurologica che limita i movimenti e l’equilibrio: una paralisi cerebrale, sopraggiunta alla nascita. È una condizione che dura tutta la vita, che deforma la postura, rallenta i riflessi, rende instabile la camminata. I muscoli sono rigidi, il tono è basso, i piedi spesso si trascinano. A uno sguardo distratto, può sembrare goffo. O, peggio, fragile.

Il gruppo si allontana. Lui rimane sempre più indietro. Scivola sull’erba bagnata e cade nella terra morbida. Si rialza lentamente. Riprende a correre. Cade di nuovo. Questa volta si fa male. Ma si rialza. Ancora. Non si arrende.

Quando il gruppo ha ormai concluso la gara, lui corre ancora. Da solo. Il suo respiro è affannato. Il corpo ferito e dolorante. Si sente solo, ma continua. Cade ancora. Fa fatica a nascondere il dolore e la frustrazione, ma si rimette in piedi. Ogni volta. Ogni caduta è un’esperienza nota. Una tappa del suo percorso. Mentre gli altri concludono in poco più di 25 minuti, lui impiega oltre tre quarti d’ora. Ma arriva. Sporco di fango, esausto, segnato. E immensamente presente. La sua non è una corsa qualunque. È un esempio che ci tocca nel profondo.

Una lezione silenziosa

La parte più straordinaria accade dopo. Quando ha ormai tagliato il traguardo, una moltitudine torna indietro. Corre con lui. Lo sostiene. Lo aiuta a rialzarsi. Lo accompagna. È l’unico che corre circondato da chi ha già finito, da chi sceglie di esserci. Non perché devono, ma perché vogliono. Perché riconoscono qualcosa di autentico in quella fatica silenziosa.

Non corre per vincere. Corre per sé stesso. E proprio per questo diventa un riferimento. Perché chi ha chiaro il proprio perché, ispira chi lo osserva. Non ha bisogno di convincere, né di emergere. La sua presenza basta.

Il coaching e il potere del perché

Nel coaching, è questo il passaggio decisivo: accompagnare la persona a riscoprire ciò che la muove. Lavorare sul perché, prima ancora che sul come. Quando una persona torna in contatto con ciò che la ispira, il percorso si trasforma. Non si corre più per battere qualcuno, ma per esprimere qualcosa di vero.

Non serve alzare la voce. Non serve dimostrare nulla. Serve solo esserci, ogni giorno, con intenzione. Con un senso.

Il coaching efficace aiuta a spostare lo sguardo dalla prestazione alla presenza, dalla comparazione alla crescita. E aiuta a capire che l’unico confronto utile è con chi eravamo ieri.

Cosa succede quando smettiamo di competere?

La maggior parte delle persone e delle organizzazioni si muove come in una gara continua: più funzionalità, più visibilità, più numeri. Ma il rischio è perdere il contatto con ciò che ha dato origine al progetto, con la motivazione iniziale. E quando il “perché” si offusca, resta solo il confronto. Con gli altri. Con i numeri. Con aspettative spesso impersonali.

Ma cosa accadrebbe se tornassimo a misurare i nostri progressi solo con noi stessi? Se ogni settimana il nostro obiettivo fosse lavorare un po’ meglio della settimana precedente? Se, invece di rincorrere il confronto, scegliessimo l’allineamento?

In quel caso, le persone comincerebbero a seguirci. Non perché siamo i migliori, ma perché siamo coerenti. Perché il nostro modo di lavorare e di essere racconta qualcosa in cui crediamo davvero.

Una sfida per chi accompagna gli altri

Chi si occupa di coaching ha una responsabilità speciale: non quella di indicare un traguardo, ma di custodire la domanda giusta. Aiutare l’altro a ritrovare ciò che lo muove davvero. A riscoprire la direzione, il valore, l’intenzione.

Perché chi ha un perché chiaro, trova sempre la forza per rialzarsi.

E spesso, proprio da lì, inizia la vera corsa.

 




Search