La mia relazione personale con il Mental Coaching

Written by on 20/05/2023


Sono passati più di due anni da quando misi in discussione una professione, un lavoro e probabilmente anche una carriera, che avrebbe continuato a darmi ottime soddisfazioni economiche. Misi tutto in discussione perché non trovavo più i miei valori in quello che stavo facendo, ma soprattutto perché maturai la consapevolezza che, secondo quelli che erano i miei parametri, il mio lavoro non creava sufficiente valore e un contributo adeguato a creare un futuro sostenibile per l’organizzazione per cui lavoravo, e per il suo capitale umano.

Faccio un passo indietro, raccontando che il mio percorso professionale iniziò in un’area aziendale che ritengo una delle più affascinanti: le vendite. Un ambito che mi ha dato l’opportunità di incrociare svariate culture, di confrontami con visioni e abitudini diverse, di spalancare la mente. Dicevano fossi piuttosto perspicace e veloce nel pensiero, doti apprezzate in quel particolare settore aziendale, ma che personalmente credo mi siano state più utili nel comprendere immediatamente che la diversità è fonte di arricchimento inesauribile, e che dalle situazioni più difficili potevano nascere le opportunità migliori.

Bastava mettersi in ascolto

Dalle vendite al marketing strategico, è stato tutto naturale. Non poteva che esserci massima integrazione, tra le due aree, perché l’azienda crescesse in maniera strutturata e sostenibile.

Ma chi è il nostro cliente, oggi?

Rimanere focalizzati sul cliente esterno, piuttosto che riuscire ad avere una visione ed una consapevolezza più ampia della propria organizzazione, rischia di ridurne l’appeal. Fino a comprometterne il posizionamento sul mercato?

Cosa può restituirci una strategia che ponga al centro anche la crescita e la motivazione delle nostre persone, dei nostri clienti interni e che favorisca quella tanto discussa employment retention?

La svolta

Facevo il direttore generale in un’azienda padronale – dico facevo perché, ripensandoci oggi, credo che stessi recitando una parte che non era la mia -, quando ad una cena di Natale, scherzosamente o forse no, il titolare dell’azienda inventò dei soprannomi per tutti noi manager… Io ero “Te scolto“, che in Veneto significa “io ti ascolto”. Cosa che, nel suo modello di leadership autoritario, rappresentava una perdita di tempo. Nel mio, tutto il valore del capitale umano della sua azienda.

Da lì la svolta, quella vera che mi ha portato ad essere quella che sono e che amo fare oggi.

La mia relazione personale con il Mental Coaching nacque, quindi, nel momento in cui realizzai che l’ordine delle 7 P del marketing era cambiato e che le aziende lungimiranti non potevano non rendersi consapevoli che avere dei manager non era più sufficiente, ma che questi dovevano diventare prima di tutto ottimi esempi e ottimi coach.

Il marketing che il padre di questa disciplina, Philip Kotler, descrive come “lo sforzo globale dell’azienda per la soddisfazione del cliente allo scopo ultimo di generare profitto”, ha sempre rappresentato per me le fondamenta di ogni organizzazione. Le sue 7 P, i pilastri su cui si erge il loro successo.

Da qui la decisione di acquisire competenze di coaching, per metterle insieme alla mia esperienza professionale in azienda, rendermi ambasciatrice nelle aziende di questa nuova visione, e aiutare i manager nel loro viaggio verso l’eccellenza.

Guidare i manager in percorsi al di fuori dalla propria comfort zone, convinta che solo lì possano trovare e valorizzare il loro io più autentico, e i loro veri talenti. Che lì possano prendere piena consapevolezza di sé stessi, mettere in campo le loro abilità, confrontarsi con i loro limiti e trovare l’umiltà per decidere di superarli e creare valore aggiunto, da trasferire ai loro team e alle organizzazioni per cui lavorano.

Pensandoci bene, però, sono stati i cavalli a darmi le prime lezioni di coaching, sia in sella che da terra

Se vuoi creare un gran binomio con il cavallo devi avere un obiettivo chiaro in mente, saperlo comunicare, devi saper guidare, motivare, coinvolgere, dare fiducia, supportare, rinforzare, premiare e agire sempre con la massima coerenza. E in tutto questo non puoi contare sulle parole.

Il coaching assistito dai cavalli, come elemento distintivo della mia nuova professione, mi aiuta ad accelerare l’esperienza in alcuni momenti del viaggio.

Attraverso il cavallo che fa da specchio, il coachee prende immediatamente consapevolezza delle sue abilità, capisce immediatamente cosa funziona e cosa invece ha bisogno di essere rafforzato.

In pochi minuti mi permette di avere una chiara fotografia della persona. Inoltre, il feedback del cavallo è immediato e privo di alcun giudizio, caratteristica che lo rende un coach accogliente e particolarmente amato dai coachee.

Sebbene la mia relazione con il coaching nasca dal bisogno di alimentare maggiori competenze trasversali tra i manager e che ami farlo assistita da animali meravigliosi come sono i cavalli, in realtà il coaching ha pervaso tutta la mia vita ed è diventato uno strumento fondamentale nel mio ruolo genitoriale, di partner, amica, compagna di allenamento.


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